Risposta alla Sfinge. Di soluzioni e dissoluzioni

Nel mio ultimo articolo, paragonavo il noto virus alla Sfinge del mito di Edipo.

La Sfinge al museo di Delfi

Evidentemente questa metafora, imperfetta e incompleta, ha continuato a lavorare dentro di me, portandomi a tornare sui miei passi e rivederla.

Tornando al mito, la Sfinge pone a Edipo un enigma, ma gli si offre in tutto il suo mistero. Edipo risolve l’indovinello, ma non riesce a entrare in relazione con la Sfinge, che fugge urlando. La domanda relazionale della Sfinge è stata ben intuita nel mondo dell’arte, per esempio nel dipinto preraffaellita di Moreau.

Guardando al momento attuale, è come se la Sfinge fosse la Natura stessa, che ci pone un problema (per esempio una malattia che tocca il mondo intero). La nostra risposta è dello stesso tipo, razionale, di quella di Edipo: cerchiamo (ovviamente e giustamente) soluzioni, ma non stiamo a contemplare la Sfinge, non entriamo in relazione con la Natura (o la Terra). E, non entrando in relazione con l’Altro, non siamo in relazione con noi stessi: Edipo, infatti, non conosceva se stesso e le proprie origini. Il mito, come è noto, finisce in tragedia: Edipo sposa sua madre perché è riuscito a risolvere l’indovinello, e finirà per accecarsi.

Noi, cosa non stiamo vedendo? Qual è il Mistero su cui la Sfinge ci vorrebbe far riflettere e entrare in relazione?

Questa pandemia ha messo in drammatica evidenza quanto siamo fragili, come specie, e questo dovrebbe rendere chiaro a tutti che stiamo morendo. La Sfinge, con l’indovinello/virus, ci sta portando a contemplare il dramma della Morte e della distruzione che stiamo portando noi umani nella nostra specie e in tutto il Pianeta?

Tornando al piano clinico, spesso mi trovo a confronto con problemi che non hanno una soluzione, quanto meno fattibile. La nostra mente è portata per sua natura a cercare una soluzione, ma a volte è necessario stare con il problema. Ho imparato questa lezione nei miei anni di lavoro sulla strada, a stretto contatto con persone, per lo più tossicodipendenti attivi, che portavano una serie di problemi, più o meno consapevoli che non c’era una soluzione, quantomeno non una immediatamente percorribile. Spesso la richiesta era di esserci e stare con loro di fronte a quel problema. Questa dinamica succede molto spesso, in terapia ma anche nelle relazioni di coppia: quante volte ci sentiamo frustrati per un problema che ci viene posto e a cui noi riteniamo di dover dare una soluzione? Mentre invece che ci sta di fronte ha solo bisogno della nostra presenza e comunicandoci una sua sofferenza non ci chiede una soluzione, ma semplicemente di essere presente.

Ma garantire questa presenza, non è cosa da poco. Spesso è già un mettersi nella direzione giusta, forse non quella della soluzione del problema ma quella della sua dissoluzione. Edipo aveva i piedi gonfi (questo il significato del suo nome), mutilati dal padre. Quindi, il mito ci racconta che non aveva grounding, che in bioenergetica significa contatto con la Terra e la realtà. La sua energia era spostata verso l’alto, verso la testa, il pensiero e l’intelletto. Verso la ricerca di una soluzione. Lo stare con, l’esserci ci porta invece verso altre possibili risposte, che usino altre funzioni, come il sentimento o l’intuizione, una risposta di senso che può portare al dissolvere, sciogliere il mistero.

Spesso, per noi o per gli altri, non possiamo far sorgere prima il Sole, ma possiamo esserci durante la Notte, e attraversarla, insieme.

Cosa è salutare.

Qualche giorno fa sono andato a camminare sulla sponda orientale del Lario, lungo una tratta del Sentiero del Viandante.

Quando si cammina, in montagna ma non solo, ci si saluta. Un ciao, un buongiorno o un salve (ultimamente raccolgo sempre più buongiorno, segno dell’età che avanza) sono una specie di rito, un modo di sentirsi accumunati da qualcosa, l’esser viandanti in un modo o nell’altro, che si differenzia dalla quotidianità urbana, in cui si incontrano molte più persone, ma raramente si saluta chi non si conosce.

Qualche giorno fa, appunto, mentre stava per uscire un nuovo DPCM, ho constatato che questo rito si era modificato: quando ci si incontrava, ci si salutava e si alzava la mascherina a coprire naso e bocca (nello sforzo del trekking e nell’isolamento dei sentieri la si può tenere abbassata). È evidente che anche questo è salutare, in tutti i sensi, e probabilmente necessario. Ma non posso negare che mi ha lasciato una nota di tristezza e malinconia.

Non entro in merito, non è di mia competenza, su cosa sia utile per il contenimento della diffusione del noto virus, ma da psicoterapeuta mi compete notare come mi sono sentito, e come tutto questo possa far sentire altre persone. (Specialmente quando le restrizioni sembrano riguardare quasi totalmente il mondo dell’arte e della cultura, l’otium, non toccando invece il negotium. Cosa è pericoloso, cosa fa male? E a cosa fa male? Alla salute fisica? Alla salute psichica e emotiva? All’economia? Cosa è salutare?)

Siamo di fronte a qualcosa di imponderabile e incomprensibile, infinitamente piccolo e minaccioso che ci pone di fronte all’incertezza. E il nostro Io vacilla di fronte all’incertezza, non la sopporta. È estremamente difficile restare integri, integrati e radicati, di fronte all’incertezza.

Come Edipo di fronte alla Sfinge, l’Io non resta a contemplarne l’Enigma e il sublime Simbolo che rappresenta, ma ne cerca la soluzione, col pensiero. Ma il pensiero è fallace e incorre facilmente in errori strutturali, bias in gergo tecnico.

Di fronte a questa Sfinge, piccolissima ma enorme, è facile assumere posizioni estreme: o con le autorità, totalmente in attesa di un intervento salvifico dall’alto e arrivando all’odio, alla denuncia o alla delazione cieca e esagerata; o totalmente contro di essa, negando quello che tutti stiamo vivendo. Sento che psicologicamente entrambi gli estremi sono risposte infantili: una di dipendenza e l’altra di controdipendenza. Ma entrambe sono risposte di un Io che non riesce a stare con qualcosa di ignoto, lo nega. È difficile uscire dall’Orbita dei genitori, reali o proiezioni che siano: si tende a andare o verso o contro di essi. Ma questa non è la nostra vera Orbita, la via dell’individuazione che porta alla completezza, al Sè.

È uno sforzo eroico, quello di stare fra gli opposti, e cercare di integrarli.

Non esiste una soluzione, ora. Bisogna imparare a stare con il “problema”.

O forse, quello che sta succedendo, nel suo dividere e scindere in opposte tendenze, è una soluzione, la prima fase del processo alchemico: solve.

E il lavoro di integrazione di questi opposti, la seconda fase: coagula.

Può creare una terza via, inaspettata e inaudita: un simbolo.

Recentemente, anche Chandra Livia Candiani, autrice di poesie che aprono e fanno entrare, passeggiando ha notato la stessa usanza nei suoi incontri, per cui concludo usando le sue parole:

“Imparare a salutarci, a onorarci perché stiamo passando.”

(Dal Divenire Magazine)